Edith non si trova bene nell’alta società della New York di inizio ‘900, il trauma della madre deceduta, l’aspirazione ad essere una scrittrice e le strane allucinazioni di cui è vittima la rendono diversa dagli altri. Per questo quando tra gli spasimanti si palesa un carattere anticonformista come Thomas Sharpe, uno che sembra amarla per quello che è, Edith non ha dubbi e lo sposa in gran fretta. La morte del padre la costringerà a trasferirsi lontano da New York, a Crimson peak, dove Thomas vive con la sorella Lucille in una casa fatiscente e spaventosa. Là Edith incontrerà la realtà del loro rapporto.
Crimson peak è il ritorno di Guillermo Del Toro a quell’immaginario tra reale e gotico, mostruoso e concreto che aveva caratterizzato i suoi film più noti e amati. In più questa volta il regista aggiunge una serie di riferimenti visivi e tematici ancora più esplicitamente vicini ad H.P. Lovecraft, autore che da sempre gli è caro. Purtroppo però non tutto funziona come dovrebbe e anche se temi e stile sono pienamente riconoscibili, lo stesso la straordinaria immaginazione del regista non è supportata da una scrittura a livello. Benchè Crimson peak sembri costruito affidandosi al medesimo piano regolatore di La spina del diavolo e Il labirinto del fauno (l’andamento della storia e la struttura sono quasi identiche), non c’è nemmeno l’ombra del rapporto virtuoso tra reale e immaginario, tra spettrale, umano, passionale e follemente tetro che consentiva a quei film di alimentare una trama concreta con il terrore e batticuore della sua controparte fantasiosa. Come gli altri film ancheCrimson peak fa una finta di corpo, illude di essere sul punto di virare nell’horror e invece rimane nel melodrammatico, tuttavia questi panni gli calzano malissimo e trascinano verso il basso tutto il resto.
Alla base c’è una trovata più visiva che letteraria, quella di una casa spaventosa e gotica, eretta su una cava di argilla rossa e che in essa sta sprofondando. Dopo un inizio in cui l’inganno nei confronti della protagonista è anche l’inganno nei confronti dello spettatore, il film svela se stesso e comincia a ruotare attorno al legame dei personaggi con quell’edificio e tutto quello che c’è dentro (fantasmi), sotto (l’argilla), intorno (un tempo da lupi) e dietro (il passato). È la trovata migliore del film che però si perde per eccesso di melodramma nel triangolo di sentimenti e pulsioni che muove i rapporti di forza tra Jessica Chastain, Mia Wasikowska e Tom Hiddleston.
Quell’equilibrio originale tra primo piano e sfondo, tra trama principale e storie marginali, che è la firma di Del Toro, l’espediente grazie al quale non è mai chiaro quale sia la vera storia a cui assistiamo, se quella in bella vista o quella nello sfondo, in Crimson peak è completamente sfasato. In primo piano c’è un intreccio scritto e recitato con un’enfasi fuori luogo, eccessiva e al limite del grottesco involontario; nello sfondo invece si consuma il meglio. Ci sono primi piani in cui letteralmente un clichè copre una trovata, in cui la manifestazione dei soliti stupori attraverso le solite espressioni cariche di eccessiva banalità è a fuoco mentre sfocate, dietro ai personaggi, le pareti della casa trasudano argilla rossa. Un buco nel soffitto da cui cade la neve, rumori delle tubature come vene in cui scorre il rosso, movimenti, presenze e continui riferimenti al corpo umano stanno costantemente dietro a corse e affanni di poco conto che il film insiste a considerare importanti.
Se la forza dei momenti migliori del cinema di Guillermo Del Toro è di saper immaginare un mondo in cui la parte fantastica sia un paradossale comprimario di quella reale, Crimson peak pare non saperne fare l’uso migliore. Di quella clamorosa prossimità al fiabesco che però si alimenta di tetro in quest’opera si sente solo l’eco provocato dalle altre pellicole dell’autore presenti nei ricordi dello spettatore.
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