Il segreto. A Napoli è appena passato il Natale. Un gruppo di bambini trascina alberi ormai dismessi, a volte chiesti ai proprietari, a volte sottratti con l’astuzia, per i vicoli dei Quartieri Spagnoli, discute animatamente, difende la preda. È Il segreto, film del collettivo di artisti partenopei cyop&kaf: un lungometraggio in cui per 90 minuti i protagonisti, insieme agli alberi, trascinano con sé anche lo spettatore, in un vortice fatto di scorribande, sfide e vitalità inarrestabile. cyop&kaf ci portano nel mondo delle piccole bande di ragazzini che ogni anno, come da tradizione, “raccolgono” gli alberi per il falò di Sant’Antonio. Solo alla fine scopriremo perché gli scugnizzi accumulano abeti in un vecchio cantiere, mentre col susseguirsi delle scene si svela la loro identità, i rapporti di forza che regolano il gruppo, le condizioni sociali e culturali in cui vivono, la loro determinazione e la confidenza con il disagio. Gli adulti sono sullo sfondo, in una rappresentazione in cui sono attori secondari.
Note di regia
cyop&kaf usa dipingere, anche se talvolta inciampa nella scrittura, nell’urbanistica, nella fotografia. Quando per la prima volta gli è capitata una telecamera tra le mani era intento da tre anni a dialogare con i Quartieri Spagnoli di Napoli. Il frutto di questo lavorìo è diventato prima un libro, QS, e adesso un film, Il segreto. Due opere-sintesi, che insieme provano a dar conto della complessità di un quartiere corroso dai pregiudizi. Per guardare dietro e dentro l’apparenza spesso brutale delle cose.
«In molti quartieri la raccolta degli alberi per il giorno di Sant’Antonio è una tradizione, un rito, un gioco avventuroso che i ragazzi di strada si tramandano di generazione in generazione. Per chi li osserva da fuori è spesso solo una sequenza di atti di teppismo e schiamazzi fino a tarda ora. Volevamo raccontare quello che accade in molte strade della città nel mese di gennaio, da un punto di vista il più possibile prossimo a quello di una banda di ragazzi. Seguirli nelle loro ricerche, osservare le alleanze e le scaramucce con altre bande, documentare i caratteri, il linguaggio, i codici di comportamento. Eravamo certi che sarebbero emerse in questo modo, spontaneamente, tutte le domande che ci facciamo da tempo, e che è necessario farsi, sul rapporto che intercorre tra bambini e città»
«I ragazzi si sono lasciati riprendere senza curarsi troppo di noi. Erano troppo impegnati nella loro “missione”. Abbiamo potuto girare in questo modo perché ci conoscono bene, da anni viviamo nel quartiere, ne dipingiamo i muri, non siamo un corpo estraneo. Senza dircelo, ci hanno accordato la loro completa fiducia»