Locandina Maraviglioso Boccaccio

Maraviglioso Boccaccio

Un film di Paolo e Vittorio Taviani - Con Lello Arena, Paola Cortellesi, Carolina Crescentini, Flavio Parenti, Vittoria Puccini, Michele Riondino, Kim Rossi Stuart, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Jasmine Trinca.
Titolo originale id. Drammatico, durata 120 min., colore - Italia, 2015 - Teodora Film
Al momento non in programmazione

Nel 1348, mentre la peste infuria a Firenze, dieci giovani si riuniscono in una casa di campagna e per dieci giorni si raccontano storie d’amore, di sesso, di burle clamorose, nell’intento di scacciare la paura della malattia e della morte. Paolo e Vittorio Taviani adattano il Decamerone di Boccaccio alle esigenze del Ventunesimo secolo, affrontando di petto il timore che attanaglia l’esistenza dei giovani (italiani) contemporanei. È un intento encomiabile e un impegno coraggioso che riesce solo in parte, malgrado la consumata abilità narrativa e poetica dei due registi-sceneggiatori.
La parte vitale e assai godibile del film è quella che mette in scena le novelle boccaccesche, affidandone i ruoli principali ad alcuni volti noti del cinema giovane contemporaneo: un’idea giusta per attirare al cinema le nuove generazioni, ma più o meno azzeccata a seconda dell’abilità recitativa del singolo interprete. Così mentre Kim Rossi Stuart brilla per ironia ed espressività teatrale nell’episodio dedicato a Calandrino, in assoluto il più memorabile (richiamando il tono grottesco e surreale di Kaos, in particolare l’episodio de La giara), Riccardo Scamarcio risulta involontariamente comico e sopra le righe nell’episodio meno riuscito, quello che vede al centro la bella Catalina (Vittoria Puccini, anche lei troppo contemporanea e troppo impenetrabile). Appassionato e coerente con le sensibilità dell’epoca (nonostante alcuni fastidiosi “modernismi” come “non gliela dà” e “è una merda”) il segmento sui due amanti presi di mira dal padre geloso di lei (un magnifico Lello Arena); divertente e opportunamente leggero quello sulle suore peccatrici, di cui è mattatrice Paola Cortellesi. Con l’ultima novella, quella che vede protagonista Federico degli Alberighi e il suo falcone, i Taviani toccano la nota che avrebbe potuto (dovuto?) rendere uniforme l’intera narrazione: lirica, essenziale, imbevuta di intensità e ben servita dal pudore e pathos di Josafat Vagni e Jasmine Trinca.
Ciò che indebolisce la costruzione filmica è la cornice, costituita dai giovani che si riuniscono insieme a novellare. Dopo alcune immagini potenti e necessarie per raccontare la peste a Firenze e soprattutto il terrore del contagio, con il conseguente isolamento dei malati dalla comunità, il racconto della fuga in campagna, affidato a un cast di giovanissimi in pieno spleen da accademia di recitazione appare ridondante e artefatto, soprattutto a confronto con le storie narrate, che avrebbero potuto benissimo essere inanellate una dietro l’altra senza intermezzi e siparietti.
Ciò che si colloca invece molto al di sopra della media del cinema italiano è la regia pittorica e sensuale dei Taviani, l’ambientazione nei luoghi e nei palazzi che ci fanno ricordare che l’Italia è il cuore artistico del mondo (senza mai sconfinare nel travelogue o nella cartolina), i costumi di Lina Nerli Taviani allo stesso tempo sontuosi ed essenziali, medievali e postmoderni, le scenografie rigorose di Emita Frigato e la fotografia di Simone Zampagni, che usa la luce come i grandi maestri del colore. In questa messinscena c’è la riappropriazione orgogliosa di un patrimonio culturale, di spazi dimenticati in favore di pessime ricostruzioni ambientali e di una tradizione tutti italiani, ovvero la rivendicazione di un’identità nazionale: questa è la principale eredità che i Taviani lasciano ai giovani, e il punto di partenza dal quale farli ripartire, senza paura.