Locandina Unfriended

Unfriended

Un film di Levan Gabriadze - Con Shelley Hennig, Renee Olstead, Will Peltz, Courtney Halverson, Jacob Wysocki.
Titolo originale id. Thriller, durata 82 min., colore - USA, 2014 - Universal Pictures
Al momento non in programmazione

Nell’anniversario della morte di Blaire i suoi amici si sentono su Skype. Non tutti si ricordano che è il giorno in cui la loro compagna di scuola si è sparata, nonostante i video che hanno immortalato l’evento siano ancora online. La causa del suicidio era un video messo online da qualcuno che ha reso Blaire lo zimbello di tutti. Ma forse c’è qualcosa di più che non uscirebbe se non si materializzasse un utente sconosciuto. Non riescono ad eliminarlo o estrometterlo e dopo un po’ comincia a parlare con loro, sostenendo di essere Blaire stessa in cerca di giustizia. Ognuno ha qualcosa da nascondere agli altri, confessioni che gradualmente gli vengono estorte con espedienti verbali o minacce esplicite. Ad ogni confessione arriva inesorabile la morte. Tutti sono un bersaglio da abbattere uno alla volta, fino a scoprire davvero cos’è successo in quel video incriminato.
È di Levan Gabriadze il primo film completamente girato in screencasting, ovvero facendo coincidere l’inquadratura con la schermata di un computer. Dopo l’esperimento di Open Windows, Unfriended va alla radice di questo stile di messa in scena nato online (su YouTube, prima grazie ai tutorial poi trasformato in espediente narrativo dalle webserie), per un film dell’orrore dal concept lineare e asciutto.
Tutto girato in tempo reale (la durata della storia è la medesima del film) e attraverso un finto pianosequenza, Unfriended si svolge lungo un’unica lunga conversazione Skype tra quattro amici traducendo nel linguaggio delle schermate dei computer gli usuali strumenti del racconto audiovisivo a beneficio delle convenzioni dell’horror. I flashback diventano video postati e condivisi da vedere in playback, le presenze diventano utenti anonimi che compaiono e scompaiono, le confidenze tra personaggi diventano conversazioni private e via dicendo, tutto con il beneficio di una costante inquadratura per ogni personaggio. Dal punto di vista di chi guarda il film si tratta di un lungo esperimento di montaggio interno, in cui ci sono diverse fasi e momenti di una storia che dura un anno, ma che noi vediamo riassunta in 80 minuti della vita di cinque ragazzi che si sovrappongono passandosi la palla di caricamento in caricamento, di finestra in finestra.
All’interno di questa cornice si svolge una dramma da camera spezzettato in cinque camere diverse, il lento agonizzare di un pugno di vittime che in realtà sono state carnefici a loro tempo e che ora lo sconteranno. Paradossalmente, nonostante il moltiplicarsi di immagini una a fianco all’altra, Unfriended è un film di parola, in cui l’orrore e la tensione passano principalmente per i dialoghi e solo occasionalmente per il video principale, quello attorno al quale si snoda tutto il flashback, un video rivelato nella sua interezza solo gradualmente lungo il corso del film.
Lo svolgimento di Unfriended, a differenza della sua messa in scena, non ha particolari ambizioni, si accontenta di rinnovare la tradizione horror/slasher, di far scontare a dei ragazzi le loro colpe nella maniera più efferata. I crimini di popolarità, gli eccessi di sesso, alcol e droghe leggere, chiamano la morte per ribadire la potenza di un fato più grande (che ovviamente ha forme paranormali) e per perpetuare la loro condizione di prigionieri in una società che condanna tutto ciò che desiderano di più, che intende reprimere le pulsioni più naturali. Non c’è variazione dallo schema più noto, solo lo scarto dato dal cercare di raccontare la storia più vecchia del cinema di paura attraverso una messa in scena peculiare. Proprio per questo motivo Unfriended non è un film che insegue il linguaggio giovane come potrebbe sembrare ma un’opera moto classica, che si diverte a prendere in giro le sclerosi di quel linguaggio, i suoi atteggiamenti e le forme che assume in rete.